Kcube/Sapienza: Opportunità di sfruttamento e nuovi legami pubblico-privato nell’università all’epoca di Renzi

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È notizia di questi giorni la sottoscrizione, stipulata però a giugno, di un contratto di Associazione in Partecipazione tra l’Università La Sapienza e la società Kcube srl, fondata nel 2014 con sede a Firenze, che si muove nel campo delle “start-up” cercando i progetti più ambiziosi e remunerativi nei quale investire alla ricerca di profitti facili, soprattutto nel campo della farmaceutica e delle nuove sperimentazioni biomediche. Questa società è amministrata da nomi noti dell’area renziana, noti anche per qualche problemino con la legge per motivi economico-finanziari (da Tommaso Di Tanno, attualmente sotto processo per l’affaire Monte dei Paschi di Siena, a Flavio Matteis, nel cda della Kcube, che ebbe un ordine d’arresto nella storica inchiesta Farmacopoli nel 1993, fino a Carrai e Alberto Bianchi, dichiaratamente in rapporti stretti con il premier).

L’accordo consiste, brevemente, nella possibilità per la Kcube di:

1) Visionare ed analizzare il parco brevetti dei gruppi di ricerca del nostro ateneo e i progetti in corso, in campo farmaceutico;

2) Scegliere quelli che, alla vista di esperti imprenditori, possono rappresentare un campo redditizio di investimento;

3) Investire un capitale per sviluppare quel brevetto o quella linea di ricerca;

4) Aspettare che questo porti a dei risultati commerciali e quindi riempirsi le tasche con il lavoro di ricercatori di un’università pubblica.

In pratica la suddetta Società a Responsabilità Limitata, ha per i prossimi nove anni la possibilità di studiare e tenere sott’occhio i diversi campi di ricerca nella nostra università e appropriarsene arricchendosi.

Eh si, perché sebbene la Sapienza non abbia rischi, ovvero se dovesse fallire l’investimento non ci rimetterebbe un euro, avrà anche essa stessa un massimo del solo 7% dei ricavati!!!!, non specificando nel contratto, quanto di questo sarà destinato a professori, ricercatori e studenti che hanno lavorato alla realizzazione di questi brevetti. Probabilmente niente, se non qualche briciola, a scardinare questa volta anche la retorica autolesionista e schiavizzante del “se non ci sono soldi, ben vengano i privati”.

Ebbene si, i privati saranno gli unici a guadagnare effettivamente da quest’accordo. Basti pensare che se Kcube decidesse di vendere la start-up creata per sviluppare un progetto di ricerca, la Sapienza avrà una “quota variabile”, il cui ammontare massimo è del solo 2% dei profitti nel caso si verificasse un plus valore del 500%!!!! (in pratica, se Kcube investe 1000 euro in un brevetto, chiamato nel contratto “prodotto potenziale”, il giorno in cui varrà 500.000, alla Sapienza andranno 10.000 euro alla Kcube 490.000 e solo per aver “creduto” in lavoratori pubblici!)

Ma la Sapienza ha venduto non solo la sua proprietà intellettuale, ma, per l’ennessima volta, anche il suo spazio fisico, poiché la Kcube potrà utilizzare proprio i locali della città universitaria come quartier generale per studiare le vittime del proprio sciacallaggio.

E così viene favorita ancora una volta la cosiddetta “’immagine della Sapienza nel mondo”, tanto cara al nuovo Rettore, a discapito della libertà professionale ed intellettuale di ricercatori, che possono vendere il loro lavoro in cambio di fondi per portare avanti i propri studi, mettendo così a rischio la libertà lavorativa, di coscienza e di ricerca, dovendo mettere davanti a tutto la commerciabilità e la capacità di rendita economica, schiavi della richiesta di chi viene, col portafogli pieno, nei laboratori a cercare facili proventi.

Non possiamo accettare quest’ennesima svendita del patrimonio intellettuale pubblico al privato di turno.

Siamo in dovere di contestare ancora una volta un’idea di università dove il messaggio che si vuole far passare è quello di lavorare bene e avere “la grande idea” per mettersi a profitto vendendola al miglior acquirente.

Non possiamo stupirci dello stato di decadenza della ricerca pubblica italiana e della “fuga dei cervelli” se accettiamo e ci prostriamo a questo stato delle cose non combattendolo e cercandolo di cambiare realmente.

Sollecitiamo tutti i papabili ricercatori e studenti, a rifiutarsi di svendere il proprio cervello, idee, capacità come prodotti commerciabili a buon mercato e a riconoscere che, praticamente sempre, ciò che ci spacciano come un’opportunità corrisponde a un mero sfruttamento.